per esempio,
mi hanno insegnato che grasso é male e magro é bene.
vivo da tutta la mia vita questa forte dicotomia per cui se sei magra sei bella e in salute e va tutto bene, mentre se sei grasso é male, sei brutta, rovini il tuo corpo e ti devo giudicare.
é chiaro peró che alcuni estremi fanno parte della cultura in cui viviamo e non di assoluti scientifici che sono validi per tutti.
sono stata una bambina e un’adolescente normo peso. Non é mai capitato che qualcuno giudicasse le quantitá di cibo che avevo nel piatto o come mi rapportassi con l’alimentazione. Cioconostante, mi sentivo grassa.
A 13 anni ho visto una pubblicitá che ti faceva fare un test per vedere se avevi la cellulite passando una mano su una coscia. Scoprii cosi di avere la cellulite e che quest’ultima era una malattia.
Kate Moss era il riferimento totale di bellezza quando io ero un’adolescente. Le taglie 36 e 38 erano la nuova normalitá, erano la magrezza, erano la cosa a cui dovevamo aspirare tutte. Io ero una 42.
A 16 anni pesavo 58 chili e sono alta 168 cm. Mentivo apertamente agli altri togliendomi tra i 5 e gli 8 chili perché intorno a me era pieno di ragazzine di 50 chili.
Non era importante quanto fossi alta o che forma aveva il tuo corpo o se avevi le chiappe e il seno. Dovevi pesare 50 chili.
Personalmente oggi, guardando indetro, trovo spaventonoso che nessuno dei genitori dei miei compagni di classe al liceo, o del corpo docente, parlasse del fatto che nella mia classe ci fossero 5 ragazze disturbi alimentari conclamati su 20 ragazze.
Dicevano, é dimagrita, quanto sta bene.
Magra= bella.
Mia madre per anni ha raccontato di come fossi stata bella al ritorno dal mio primo viaggio studio in Regno Unito perché, meno curiosa sul cibo di come sono oggi, fossi rimasta un po’ disgustata dalle proposte gastronomiche e avessi perso 6 chili in due settimane. Per anni ha detto “come eri bella cosi magra”.
A partire dai 19 anni ho iniziato ad avere problemi con il peso del mio corpo.
A un certo punto, vuoi il metabolismo che ha ceduto prima di altre, vuoi che non venivo da una cultura sportiva, vuoi il cambio di abitudini alimentari da Avellino a Roma, vuoi la genetica, ho iniziato a prendere peso.
All’inizio non ci feci caso, perché ingrasso tutta insieme.
La prima volta che me ne sono accorta é stato al secondo anno di universitá quando ho visto un 7 davanti al mio peso sulla bilancia ed ero passata dall 42 alla 44.
E mi ero pesata perché mio padre aveva detto “certo che ti sei proprio ingrassata da un po’ di tempo a questa parte”.
Grasso = brutto
Vorrei poter dire che amavo il mio corpo per quello che era, che me ne sono presa cura. Non é cosi.
Negli ultimi 15 anni non ho fatto altro che odiare il mio corpo e combattere la sua forma.
Ho alternato fasi in cui mi sono lasciata andare, in cui mi trovavo disgustosa, in cui sognavo di svegliarmi magra come prima e pensavo solo a quello, in cui sono ingrassata fino ad avere un 9 davanti al mio peso, a fasi in cui lo sport, la dieta, la terapia nutrizionale, il controllo.
Quando prendo il controllo e sto a dieta per mesi, davanti il mio peso c’é un 6. Non sono mai piú tornata a quei 58 chili. Vorrei poter dire che non mi fa nessun effetto, ma non é vero.
Come tutti sapete, dal 2017 vivo a Bruxelles. In questi 4 anni quasi tutti i miei parenti si sono sentiti in dovere di commentare i miei sbalzi di peso ogni volta che mi vedevano.
Molte persone adulte della mia famiglia che non vedevo dal mio matrimonio e intanto erano passati anni e io mi ero trasferita in un altro stato, avevo cambiato lavoro, carriera e vita, si sono sentiti in dovere come primissima cosa di dire “come sei ingrassata” o nella versione politically correct “sei proprio diventata giunonica”.
Nessuno mi ha chiesto se mi sentivo realizzata, se ero felice, se stavo bene. Perché grasso é male e non é socialmente accettato, quindi devo giudicare.
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Per esempio,
mi hanno insegnato che una ragazza deve essere sobria, moderata nei modi. Mi hanno detto che se avevo rispetto per me stessa e rispettavo il mio corpo dovevo fare bene le mie scelte, non mostrarmi a tutti, non svendermi a chiunque.
Nonostante io venga da una famiglia meridionale, mi sono sempre considerata libera e privilegiata perché ho avuto la possibilitá di fare le mie scelte da sola. Vorrei poter dire di non essere mai caduta in quello sgradevole tranello che é il giudizio nei confronti delle altre donne in base al loro aspetto, al loro vestiario, al loro comportamento, ai loro fidanzati.
Purtroppo non é cosi.
Ho giudicato, ho commentato, ho postulato.
Mi hanno detto che la verginitá é un valore. Non necessariamente in quanto credo religioso, ma in quanto conservazione del proprio corpo. In quanto valore aggiunto perché ti rispetti solo se non la dai a chiunque.
Io peró avevo delle pulsioni, avevo dei sentimenti, avevo delle curiositá.
Dovevo reprimerle perché non ero pronta, non era normale, non ne potevo parlare. Il sesso te lo tieni per te. E’ una cosa privata con un’etichetta.
E se io avessi voluto darla a chiunque perché mi piaceva? Se io fossi stata cosi spregiudicata, coraggiosa, fiduciosa in me stessa da liberare il mio corpo per scoprire cosa mi piaceva?
La veritá é che nonostante dal punto di vista scientifico sapessi tutto sul sesso e fossi arrivata all’argomento piú che preparata, sono passati anni prima che scoprissi cosa mi piaceva.
Sono passata anni prima che superassi la schizofrenia nella comunicazione per cui una donna non parla di sesso perché non si fa.
Non lo sapevo che potevo sperimentare, provare, parlare, giocare. Questo é, questo ti tieni.
Devi essere discreta e pudica.
Pudica = buona.
Curiosa = cattiva
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Per esempio,
sono cresciuta con il mito della famiglia e in quanto donna, della maternitá.
Cresci, studi, ti laurei, ti sposi e fai un figlio. Se sei una donna e non hai figli non sei completa. Se non fai un figlio non sei una donna vera.
Io peró avevo delle idee un po’ diverse su quello che significa avere una famiglia e essere una famiglia.
Per esempio ho sempre creduto che una donna non fosse realizzata in quanto madre, come se una gravidanza chiudesse il cerchio, ma che anzi, prima di diventare madre e di impegnare la propria vita nella cura di qualcun’altro oltre che di se stessi, una donna dovesse essere realizzata. Quel cerchio dovesse essere giá fatto. Non era importante se eri realizzata come astronauta o come casalinga, se eri laureata o con la licenza media, ma il cerchio doveva essere giá pronto.
Per questo motivo non ho capito perché una volta sposata l’argomento di discussione sia diventato “quando fai un figlio?”.
Ricordo di essere tornata al lavoro dal viaggio di nozze e buona parte dei colleghi si é sentita in dovere di chiedermi se fossi giá incinta.
All’improvviso parlare di sesso era lecito.
Certo, alcuni di loro mi hanno anche chiaramente detto che non potevo rimanere incinta fino al 2018 quando finiva il contratto della gara che avevamo vinto con P, ma questa é un’altra storia.
A partire dal mio matrimonio sembrava che fossero tutti in attesa di un annuncio di gravidanza. La domanda che mi é stata rivolta piú spesso é stata: quando lo fai un bambino?
A essere sincera, in questi 5 anni di matrimonio, anche io sono passata attraverso fasi un po’ schizofreniche in cui mi dicevo “quando lo voglio fare un bambino?”. Era legittimo. Anche perché non avevo escluso la possibilitá di avere una famiglia con dei figli.
Ci ho messo tempo a realizzare che io una famiglia con dei figli la volevo, ma che avevo in mente una cosa diversa. E che andava bene anche cosi.
A settembre 2019 io e marito abbiamo introdotto la pratica per una domanda di adozione.
Vorrei poter dire che da allora io non mi sia mai piú chiesta se ero normale perché volevo una famiglia in questo modo.
Vorrei poter dire che le persone a cui l’ho detto, mi abbiano tutte fatto le congratulazioni, come si fa quando dici di essere incinta. Quello che é successo piú spesso invece, é che mi sia stato chiesto se avessi dei problemi di fertilitá oppure perché, in senso assoluto.
Vorrei poter dire che il corpo é mio e lo gestisco io. Invece una quantitá spropositata di amici, conoscenti e parenti si é sentita in dovere di commentare le scelte che facevo con il mio corpo. Le scelte che io e mio marito prendevamo su come volevamo formare la nostra famiglia.
Ho scoperto che secondo alcuni, se non é coinvolta la mia vagina non saró una vera madre. Ho scoperto che se dici di essere incinta é una cosa da festeggiare, ma se dici che stai facendo un’adozione e che per te é la scelta numero 1, non di ripiego, allora non sei normale.
Vagina, biologia = bene
Gravidanza = madre vera
Adozione = piano b
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Trovo molto bello il modo in cui le nuove generazioni stiano rompendo alcuni dei dogmi in cui sono cresciuta io.
Trovo salvifico il modo in cui oggi si parli di body positivity, il modo in cui stiamo smettendo di credere che esistano taglie giuste.
Trovo rivoluzionario che si sia aperto un dibattiito sereno sulla sessualitá, come di uno spettro e non come di un’etichetta, e che finalmente una donna puó sperimentare con uomini, donne, con tutt* e nessuno e vada bene cosi.
Trovo sorprendente che oggi si smetta di dire che una famiglia é una sola con madre padre figlio maschio figlia femmina.
Spero di avere la forza e la saggezza di raccontare ai figli che verranno una storia diversa, senza cadere nello stigma, senza cadere nel luogo comune, senza cadere nel giudizio a senso unico.
Spero di diventare una donna migliore, soprattutto per me.
You can’t always get what you want
But if you try sometime you find
You get what you need
Bye, Charlie.